SANITÀ

La grande fuga dei camici bianchi.
Meno assunti, boom di gettonisti

Picco dei contratti a termine e interinali, spesso in regressione quelli in pianta stabile. Stipendi bassi rispetto a buona parte dell'Europa e orari pesanti alla base degli abbandoni. In Piemonte dal 2012 al 2022 perso il 7% di professionisti. Il rapporto Fnomceo

Pochi medici assunti in pianta stabile e troppi con contratti a termine o altre forme che rendono intermittente il rapporto di lavoro. È la fotografia del sistema sanitario pubblico italiano che mostra anche un altro aspetto del fenomeno, ovvero il grande divario nella spesa che questo fenomeno ha prodotto negli ultimi anni e continua a generare. 

Nel decennio 2012-2022 i professionisti ingaggiati con contratti a tempo determinato, con consulenze o lavoro interinale hanno visto un aumento addirittura del 78% ripartito in un 23 % prima del Covid e un 44 in quella successiva, mentre nello stesso periodo l’incremento dei dipendenti assunti stabilmente arriva a malapena al 2,6% fino al 2019 e al 4,6% nei tre anni a venire. Non meno eclatanti i dati inerenti la spesa legati a questo divario. Per i medici non dipendenti stabilmente nel 2022 si sono spesi 3,6 miliardi con un incremento del 66,4% rispetto a dieci anni prima, mentre per pagare i camici bianchi in forza stabilmente al sistema sanitario la spesa, considerando sempre l’identico arco temporale, è stata aumentata soltanto del 6,4%.

Numeri che non possono sorprendere visto che proprio sui gettonisti forniti dalle cooperative per fronteggiare la carenza di organici negli ospedali, negli ultimi anni le Regioni attraverso le Asl hanno subito e continuano a subire pensatissimi salassi. Costi esorbitanti che paradossalmente, nei bilanci delle aziende sanitarie non gravano sul capitolo del personale, bensì su quello dei beni e servizi, ma alla fine la cassa è la stessa e a svuotarla con questi numeri ci vuole poco. 

Le stesse restrizioni imposte, a più riprese dal ministro Orazio Schillaci, sull’impiego dei medici delle cooperative, tra una deroga e un’eccezione hanno fino ad oggi prodotto assai poco rispetto ai propositi. Ciò è dovuto, in gran parte, proprio alle più alte retribuzioni a fronte di turni meno pesanti che hanno provocato, negli ultimi anni, una fuga ancora in corso di un gran numero di professionisti dal pubblico verso il privato, in moltissimi casi proprio verso le cooperative e le società di servizi. 

Che gli stipendi dei medici in Italia siano inferiori a gran parte del resto dell’Europa è noto, ma il recente Rapporto Fnomceo-Censis, lo sottolinea insieme agli altri dati, i quali portano il presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli a indicare la necessità di “un cambio di modello che definisca prima gli obiettivi i salute e gli strumenti per poi individuare le risorse necessarie” e non viceversa come accade ancora oggi.

Dal rapporto emerge come in Italia ci siano 410 medici ogni 100mila abitanti, che scendono a 390 nei Paesi Bassi e a 318 in Francia, ma se nel nostro Paese i professionisti non sono in numero minore rispetto ad altre nazioni europee ben diversi sono gli stipendi e, quindi, l’attrattività del sistema sanitario pubblico. Proprio nei Paesi Bassi le remunerazioni superano di due terzi quelle italiane, così come in Germania. E questa è una delle ragioni, insieme a altre legate ai ritmi e agli ambienti di lavoro, che sta generando ormai a tempo una fuga dal servizio pubblico che pare irrefrenabile. Nel suo rapporto Fnomceo parla dell’aziendalizzazione della sanità italiana come dell’origine “di una prolungata e autolesionistica politica di contenimento della spesa per il personale sanitario con un marcato disinvestimento nei medici, negli infermieri e in altri operatori”. 

Nello stesso documento si sostiene che “ogni obiettivo, a cominciare dalla riduzione delle liste d’attesa, è subordinato a quello di rendere il servizio sanitario un contesto particolarmente attraente per i nostri medici, a partire dai giovani”. In effetti scorrendo i dati del rapporto inerenti la percentuale relativa alla riduzione dei medici nel pubblico registrata tra il 2012 e il 2022 il quadro che emerge è tra lo sconsolante e l’allarmante. In Piemonte il segno meno sta davanti al 7, peggiore sia pure solo per un decimale rispetto alla Campania, ma distante dal meno 1 del Veneto senza guardare ai numeri positivi che si registrano invece in Emilia-Romagna (+9%), Toscana (+6,3) e Lombardia (+4,2). 

Mentre sempre più medici lasciano il posto nel pubblico e pochi si presentano ai concorsi indetti per colmane queste carenze, è ancora il rapporto Fnomceo a dare voce agli italiani con un sondaggio che rivela come l’85% degli intervistati ritenga più giusto e rendere maggiormente attrattiva la professione nel pubblico per i medici italiani, anziché ricorrere a sanitari da altri Paesi. Altrettanto alta la percentuale di italiani (84,5%) che ritiene indebolisca la sanità l’avere troppi medici con contratti temporanei. Un’opinione che trova riscontro nella previsione di Francesco Maietta, responsabile welfare del Ce nsis. “Se non saranno create le condizioni per un’espansione del numero di medici convinti che vale la pena i lavorare in modo permanente per il servizio sanitario pubblico  sostiene Maietta -– non ci sarà una sanità efficiente per tutti”.

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