ECONOMIA DOMESTICA

Piemonte fanalino di coda del Nord: cresce meno e scende in Europa

Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto continuano a trainare l'economia italiana. La regione governata per la seconda volta da Cirio è l'unica del bacino padano a continuare a perdere posizioni per pil pro-capite, chiudendo all'89mo posto. Basta propaganda

Lombardia locomotiva, Piemonte vagone. Economia italiana trainata dal Nord”. Così titolavamo lo scorso 20 luglio dando conto dello studio realizzato dalla Cgia sulla proiezione del pil nel nostro Paese. Una fotografia nella quale si vede come, in assenza di politiche di sviluppo, il Piemonte continuerà a essere la “pecora nera” delle regioni del Nord Italia. Per restare nella metafora ferroviaria occorre che capostazione e macchinista prestino la massima attenzione.

Da quel rapporto, infatti, basato su dati dell’Istituto Prometeia e di Eurostat, emerge in primo luogo come il Piemonte sia l’unica regione del bacino padano – esteso alle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché alla Valle d’Aosta e al Friuli – a perdere posizioni rispetto al 2022 nella graduatoria fra le regioni d’Europa per pil pro-capite, chiudendo all’89mo posto con 35.700 euro, ad una distanza che supera i 10mila euro rispetto ai vicini lombardi (al 34mo posto, con 47.000 euro pro-capite). Allo stesso tempo, il Piemonte nel 2024 sarà ancora il fanalino di coda fra le regioni settentrionali per crescita del pil complessivo, con un dato a fine anno stimato a +0,65% (al di sotto della media nazionale), oltre a scendere al penultimo posto per variazione del pil reale fra il 2019 e il 2024, con un +2,2% che supera di poco la metà della media italiana del periodo, pari a +4,2%.

E anche in merito ai dati su base provinciale, il fatto che la migliore performance in termini di crescita del valore aggiunto reale sia quella di Torino, 24ma con un dato (+3,02%) che però si trova ben al di sotto della media nazionale (+4,33%), cui si aggiungono secondo la rilevazione due province che hanno addirittura il segno meno, Vco e Asti, rispettivamente con dati di (de)crescita nel quinquennio considerato pari a -0,24% e -0,42%, determina un quadro in chiaroscuro (più ombre che luci, per la verità) che dovrebbe destare l’attenzione e l’impegno delle amministrazioni del Piemonte, dalla Regione del secondo mandato di Alberto Cirio in giù.

C’è il rischio, assai concreto, di trovarsi fra qualche anno ancora in compagnia delle economie regionali “trainate dal Nord”, appunto, in evidente contraddizione con l’afflato autonomista, anche fin troppo generoso, con cui si chiedevano ieri e si chiedono oggi maggiori competenze legislative fra le materie cosiddette concorrenti. La campagna elettorale permanente degli assessori, con le foto di gruppo e gli slogan più o meno accattivanti, è certamente un buon modo per stare vicino ai portatori di interessi e per dare conto della propria attività, ma è sui dati economici complessivi che si misurano l’impatto delle politiche di sviluppo, i risultati conseguenti e i posti di lavoro duraturi. Non serve inventare, basta probabilmente copiare i migliori in Italia e in Europa, anziché limitarsi a gestire, magari anche benino, l’esistente.