Presidenti, sindaci e assessori di enti locali, autopromossisi maghi della finanza, Pier Carlo Padoan, ne decreta il declino, ciam">

Il declino dei derivati

Presidenti,sindaci e assessori di enti locali, autopromossisi maghi della finanza, li avevano presentati, abbracciati e introdotti nei bilanci come gli strumenti in assoluto più convenienti per risolvere i problemi dell’indebitamento degli enti. Ora il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ne decreta il declino. Contemporaneamente, offre una ciambella di salvataggio – per ora soltanto alle regioni – per chiudere definitivamente le partite (ovviamente ancora mungendo dalla grande mucca che sono le casse dello Stato). Stiamo parlando dei “derivati”, cioè di quei titoli di debito privi di un valore proprio, ma il cui valore è “derivato” (come dice il nome) dalle quotazioni sui mercati finanziari di altre entità finanziarie od economiche ad essi collegate: azioni, obbligazioni, valute, materie prime, ecc. (cosiddette “attività sottostanti” o “sottostante”). La ciambella di salvataggio offerta da Padoan è rappresentata dall’articolo 45 del decreto-legge 66 del 2014 (L. 89/2014). Le regioni che volevano chiudere queste avventurose (folli) vicende dovevano fare domanda al Ministero dell’Economia entro il 20 giugno. La domanda avviava le procedure per la ridefinizione (ristrutturazione) dei debiti collegati a “derivati”. Si sono attivate 9 regioni: Abruzzo, Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, per un totale potenziale di “derivati” da ristrutturare di 17 miliardi. La ristrutturazione è stata ammessa con decreto del Ministro Padoan del 10 luglio. Lo stesso Ministro ha pubblicato il 3 settembre l’elenco delle banche cui le regioni potranno rivolgersi per la gestione delle operazioni di ristrutturazione. Stranamente, tutte straniere: Citigroup, BnpParibas, Deutsche Bank e Barclays Bank (le nazionali non davano le necessarie garanzie?).

 

Le motivazioni del Ministro per scrivere la parola fine all’utilizzo (irresponsabile) di questi strumenti finanziari da parte degli enti locali – strumenti che presentano, tra l’altro, un forte sospetto di illegittimità rispetto alle norme contabili pubbliche – sono chiare. Le operazioni di indebitamento delle regioni (ma anche di province e comuni) collegate a “derivati” hanno per lo più causato perdite rilevanti nei bilanci degli enti. Le perdite sono destinate a ripetersi negli anni, fino al termine del debito. E’ di tutta evidenza, infatti, che un debito è sostenibile se è rapportato, fin dall’inizio, alle risorse finanziarie disponibili. Legato alla variabilità di altri elementi diventa assolutamente incerto (e se va male, bisogna aumentare la spesa per pagare le rate di ammortamento. Di qui l’incompatibilità con le norme contabili pubbliche). Le banche, attivando i contratti con “derivati” – magari anche sfruttando un po’ l’ignoranza in materia dell’interlocutore pubblico – hanno applicato oneri cospicui a loro favore per l’intermediazione. Accertando perdite e onerosità eccessiva delle banche, gli amministratori succeduti agli autori delle ingegnosità finanziarie hanno cercato di svincolarsi dalle pericolose maglie dei “derivati”. Hanno avviato cause alle banche, che però li hanno visti prevalentemente perdenti. L’articolo 45 del decreto legge 66 ha inteso porre fine al marasma.

 

Padoan sottopone la chiusura delle partite a operazioni piuttosto complesse e che variano a seconda delle forme di indebitamento collegate a “derivati”: debiti con emissione di Buoni obbligazionari regionali – Bor, e mutui contratti con il Tesoro e la Cassa depositi e prestiti. Nel primo caso, le regioni sono autorizzate a ricomprare i loro titoli (buyback); nel secondo a rinegoziare direttamente il debito con il Tesoro o la Cassa depositi e prestiti. Entrambe le operazioni potranno però avvenire soltanto se le regioni che avvieranno la ristrutturazione estingueranno, anticipatamente, i contratti in strumenti finanziari derivati collegati al contratto di debito. Dopo che l’estinzione sarà avvenuta, i mutui contratti con Tesoro e Cassa depositi e prestiti si riconvertiranno, per il debito residuo, in un nuovo contratto di mutuo, rimborsabile in trenta rate annuali con tasso d’interesse pari al rendimento del Buoni poliennali del tesoro (Btp). Alle regioni che procederanno al riacquisto dei propri titoli – la cui spesa non può essere superiore al valore nominale dei titoli – sarà concesso un mutuo dal Ministero dell’Economia con le medesime caratteristiche di quello appena detto. Per la copertura degli oneri derivanti da tutte queste operazioni, saranno emessi titoli di Stato (ecco la mungitura della mucca statale).

 

Come detto, anche la regione Piemonte non si è fatta mancare il brivido dei “derivati”. L’ha fatto nel 2006 sottoscrivendo un contratto trentennale (2007-2036) di 1 miliardo e 800 milioni, con emissione di obbligazioni regionali di pari importo. Tre le banche coinvolte in misura uguale per 600 milioni nell’operazione: Dexia Crediop, Banca Opi San Paolo e Merril Lynch. Dopo vicende contenziose di varia natura, in parte ancora aperte, ora chiede al Ministero dell’Economia di ristrutturare questo debito nelle forme previste dall’articolo 45 del decreto 66. In buona sostanza, di ricomprarsi i propri Bor pagandoli con il mutuo che il Ministero dell’Economia le metterà a disposizione. Così il debito risulterebbe definito nell’importo e ammortizzabile nell’arco di trent’anni al tasso d’interesse dei Btp.

 

Quali gli incerti che si presentano affinché l’operazione possa andare a buon fine. Citiamo il caso della Regione Piemonte che però è applicabile anche alle altre che si trovino nelle sue condizioni. Occorre estinguere, preliminarmente,i contratti in strumenti finanziari derivati collegati. I contenziosi – per quanto si sa – ancora aperti con le banche potrebbero rappresentare un ostacolo. Sono sorti allorquando la Giunta presieduta da Roberto Cota nel 2012 ha deciso di non pagare più le rate del prestito. La sospensione è stata seguita da sentenza di condanna della Regione da parte dell’Alta Corte di giustizia di Londra a pagare le rate non pagate e relativi interessi, con l’aggiunta del pagamento anche delle spese di giudizio. C’è poi un’altra questione da valutare. Da indiscrezioni che circolano, la Regione ha una perdita sulle obbligazioni emesse di 450 milioni. Inoltre, il suo bond gira oggi sul mercato su un valore del 60% circa del nominale. Stando, quindi, alle disposizione dell’articolo 45, potrebbe riacquistarlo con il finanziamento del Ministero dell’Economia. Con poco più di 1 miliardo, ed aggiungendovi anche il valore della perdita, si ricomprerebbe il suo debito da 1,8 miliardi. Si deve però considerare che questi bond sono presumibilmente in pancia a banche nazionali e internazionali. Queste, tenendo conto della loro struttura e delle norme contabili (dovrebbero rilevare una perdita patrimoniale di 40), potrebbero anche non vedere la convenienza a vendere un bene al valore di 60 quando nel 2037 potrebbero incassare 100. Questi sono dunque i punti interrogativi che, nonostante la ciambella di salvataggio di Padoan, gravano sui “derivati” della Regione Piemonte.

 

A conti fatti, nessuno può prevedere ora quali saranno i risultati delle operazioni intraprese dalla Regione per uscire dalla rete vischiosa dei suoi “derivati”. Quali che essi siano, il cittadino rivendica – sempre in virtù della trasparenza che il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino ha posto tra le linee guida del suo governo – di conoscerli in tutti i particolari. Qualora poi questi risultati facessero emergere un danno alle casse regionali, chiede con forza che i responsabili vengano denunciati all’Autorità giudiziaria competente affinché restituiscano le somme perse per le loro spericolate avventure finanziarie.

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