POLITICA & GIUSTIZIA

Fratelli d’Italia, la faida s’è dest(r)a

A 24 ore dall'ordinanza del Tribunale di Torino, Marrone punta il dito contro i suoi compagni di partito. "Un esposto ispirato dall'interno". Trenta giorni per predisporre il ricorso: "Ci sono tutti gli estremi per contestare questo procedimento sommario"

«Un mio compagno di partito, Massimiliano Motta, ha eseguito l’accesso agli atti alla base dell’esposto che ha provocato la mia decadenza». Ciò che tutti, se non sapevano immaginavano, Maurizio Marrone lo dà per certo: «Lo so perché dopo quell’acquisizione di documenti non ce ne sono state altre, tranne quella di Augusta Montaruli», ex consigliere regionale e moglie dello stesso Marrone che, almeno per il momento, non è sospettata di intelligenza col “nemico”. Un nemico che risponde al nome di Massimo Pastrone, avvocato con l’ufficio in corso Duca degli Abruzzi, estensore materiale del ricorso contro l’elezione del consigliere decaduto.

 

Il giorno dopo l’ordinanza del Tribunale di Torino, Marrone convoca i giornalisti di fronte a Palazzo Lascaris per annunciare che venderà cara la pelle: una conferenza stampa improvvisata, mezz’ora per far sapere di essere pronto a lottare perché «non venga ribaltato il voto di oltre tremila persone» attraverso «l’ennesimo atto di delegittimazione di organi giudiziari nei confronti della politica e in particolare dell’ente Regione». Insomma, lui non lo annuncia ancora ufficialmente ma il ricorso è già in fase di predisposizione, anche perché «l’ordinanza lascia ampi spazi per contestarla».

 

Parla di «autonomia della politica rispetto alla magistratura» Marrone e non è un caso giacché questo pronunciamento rischia chiaramente di influenzare anche i membri della Giunta per le elezioni del Consiglio, l’organismo dell’aula che ha il compito di valutare eventuali casi di incandidabilità e ineleggibilità. E non aiuta neanche il fatto che a capo della Giunta ci sia un esponente grillino Paolo Mighetti, «di cui devo sottolineare serietà e imparzialità» dice Marrone, indossati i guanti di velluto. Due pronunciamenti – uno della politica, l’altro della magistratura – che andassero nella stessa direzione sarebbero un responso difficile da ribaltare, anche per questo Marrone fa leva sull’orgoglio di una classe dirigente politica che deve «rivendicare la propria autonomia».

 

Secondo quanto riportato dall’ordinanza il capogruppo di FdI decade perché non si è dimesso entro i tempi previsti dalle normative dalla carica di consigliere di amministrazione di Ires, l’istituto di ricerca della Regione, configurando quindi una condizione di ineleggibilità, visto che la legge 154 del 23 aprile 1981 impedisce l’elezione alla carica di consigliere regionale degli “amministratori e dirigenti di società per azioni con capitale maggioritario della Regione”. La lettera di dimissioni, infatti, pur datata 20 aprile sarebbe stata protocollata in Ires solo il 27 maggio e lo stesso timbro postale, che comprova l’avvenuta spedizione, recherebbe la data del 24 maggio. Ma lui respinge le motivazioni addotte: «La verità è che io ero già decaduto dall’Ires. La legge parla chiaro: il consigliere decade ove senza giustificati motivi non partecipa a tre cda consecutivi» e di consigli d’amministrazione Marrone ne aveva disertati parecchi, tant’è che «non ero neanche più stato convocato e nei verbali non si c’era alcun riferimento al mio nome». Insomma l’Ires aveva proclamato la sua decadenza, ma questo basta? Serviva la ratifica del Consiglio regionale? La normativa parla di un «pronunciamento» dell’aula, forse ancor meno di una presa d’atto e su questo farà leva Marrone, che giustifica la maldestra lettera con dimissioni retrodatate come un documento «in aggiunta», ma non dovuto né richiesto. Su questo si poggerà la sua difesa, da qui partirà il suo ricorso, ricordando anche che «mi interessava talmente poco quella carica che non ho mai neanche dato le coordinate bancarie per farmi versare il gettone di presenza».

 

Intanto resta tesissima la situazione in casa FdI, con Giorgia Meloni che ha già commissariato il vertice regionale, ma non è chiaro se Guido Crosetto abbia assunto o meno l’incarico di commissario. La vecchia guardia post aennina legata ad Agostino Ghiglia e i giovani “marroniani” neanche si rivolgono più la parola e la sensazione diffusa è che il Tribunale interviene in una guerra tutta politica, nella quale difficilmente verranno fatti prigionieri. 

 

Leggi qui l’ordinanza del Tribunale

 

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