RIFORME & PROPAGANDA

Autonomia, pressing del Piemonte. Summit in Regione con Calderoli  

Il leghista Lanzo mette in agenda l'incontro con il ministro in Commissione. Obiettivo: recuperare il ritardo e sostenere il disegno di legge. Che però trova sempre più resistenze, anche all'interno del centrodestra. La ribellione del Sud, i giochi congressuali del Pd

"Prevedevo un clima ostile, ma io ho le spalle larghe”. Il fatto è che più delle spalle del ministro Roberto Calderoli ad apparire larga è la distanza all’interno dello stesso centrodestra sul tema sempre più caldo dell’autonomia rafforzata per le Regioni che la chiedano. Lui, uno dei leghisti della prima ora e tra i più autonomisti che il Carroccio salviniano conservi, dice di essere “stufo delle critiche superficiali” e rassicura che “non c'è nessuno qui che vuole spaccare in due il Paese”. Bastano queste parole? No, almeno stando a quanto continua a trapelare dai piani alti degli alleati, soprattutto dai Fratelli d’Italia che al netto delle “verifiche fatte” dallo stesso Calderoli con l’esclusione di possibili ostacoli, continuano a legare il vessillo leghista alla riforma in senso presidenziale dello Stato. Pure da Forza Italia la temperatura si abbassa. Il frontman del governatori azzurri, quello della Calabria Roberto Occhiuto si è premurati di ricordare che “Forza Italia ha quattro governatori al Sud, qui c’è la sua cassaforte elettorale” e che “non c’è unanimità ma è prevalente l’atteggiamento di chi dice che l’autonomia va realizzata solo insieme a Lep e perequazione”. Messaggio che tra i destinatari principali ha proprio l’omologo piemontese Alberto Cirio, fin dall’inizio della sua legislatura pronto a sventolare la bandiera autonomista che oggi sembra un cencio fastidioso davanti agli occhi di buona parte degli azzurri, in competizione con il partito di Matteo Salvini.

In questa situazione affatto tranquilla nel centrodestra, proprio dal Piemonte, più precisamente dal presidente della Commissione per l’Autonomia in seno al Consiglio regionale, il leghista Riccardo Lanzo, parte l’invito al ministro per gli Affari Regionali a una sua trasferta a Torino. “Gli chiederemo di venire in commissione per illustrare il suo disegno di legge”, spiega Lanzo che in agenda ha pure quel tour nei comuni della regione, anticipato dallo Spiffero, “per discutere di autonomia con chi si dovrà confrontare con le nuove competenze”.

Calderoli arriverà in Piemonte dopo essere stato a parlare di autonomia non solo nella sua Lombardia, ma addirittura in quella Calabria pure affine politicamente, ma assai allarmata sulla questione, come altre regioni del Sud dove, come osserva lo stesso Lanzo, “pesano anche i posizionamenti politici” con evidente riferimento ai dem Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania. Il primo dei due, ancor ieri sera ha puntato l’indice su una sorta di “supermercato dove le Regioni vanno a prendersi quel che serve”, riferendosi alle singole trattative previste dalla norma. Emiliano insinua un cuneo nel centrodestra: “Possibile che un partito centralista come quello di Giorgia Meloni apra a un sistema del genere? Durerà fino alle elezioni in Lombardia”, preconizza il governatore pugliese. 

Scenario che allarma la Lega, ben consapevole di come il partito della premier e lei stessa non siano mai stati caldi quella questione e continuino, comunque, a subordinarla al presidenzialismo. “Dialettica interna”, spiega il presidente della commissione di Palazzo Lascaris, confidando in quella serie di incontri con gli amministratori locali che seguirà la venuta di Calderoli, “per capire tutti insieme, al di là degli schieramenti, i vantaggi di una riforma attesa da tempo”. Il Piemonte è in ritardo rispetto a Veneto e Lombardia che, nella scorsa legislatura, avevano già sottoscritto alcuni atti con il Governo, “ma l’intenzione del ministro è quella di portare tutte le Regioni alo stesso punto di partenza”, spiega Marnati che, come tutti i leghisti, ridimensiona il dibattito e le polemiche sempre più accese e dagli esiti incerti. 

Che il clima sulla questione si vada infiammando, condizionato dalle imminenti elezioni regionali e dallo stesso congresso del Partito Democratico, lo attestano anche le ultime dichiarazioni del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, tra coloro che hanno avviato il percorso per ottenere ulteriori poteri e competenze. “L’autonomia proposta dalla destra spacca l’Italia e penalizza il Mezzogiorno. Il Governo si fermi e torni a confrontarsi con le Regioni e con i sindaci anziché calare dall’alto scelte sbagliate”, avverte il candidato alla segreteria del Pd, attento a non giocarsi consensi al Sud. Delle “preoccupazioni degli amministratori locali che vanno ascoltate” dichiara di farsi portavoce l’altra aspirante alla guida del Nazareno Elly Schlein secondo la quale “il progetto di Calderoli va fermato”.

Titubanze in FdI e nel partito di Silvio Berlusconi, entrambi con più di un occhio al Sud con i suoi voti, cambio di rotta anche nelle Regioni “autonomiste” del nord governate dal centrosinistra in vista della partita per la successione a Enrico Letta, insomma l’immagine della tempesta perfetta pronta ad abbattersi sul totem leghista si prospetta sempre più nitida. Matteo Salvini, che su questa partita si gioca gran parte della sua residua leadership, non intende mollare: “Il 2023 sarà l’anno della modernità e dell’efficienza per le riforme. Penso che questo Governo riuscirà a fare in qualche mese quello che gli altri governi hanno provato a fare in diversi anni – ha detto ieri a margine della visita al cantiere del Passo San Giovanni-Cretaccio –. Nel 2023 si chiuderà l’iter, io penso che la stragrande maggioranza delle regioni italiane dirà di sì”. E, comunque, nonostante strepiti e proclami, la decisione, alla fine, passerà sopra la testa proprio di quelle Regioni che chiedono di contare di più, cosi come di quelle che temono di contare meno di altre.