La solita “Resistenza”. Contro Israele
11:46 Martedì 18 Novembre 2014 5In una mostra allestita a Torino, nel museo di corso Valdocco, si celebra la memoria dei rifugiati palestinesi, "vittime" dello stato ebraico. Si biasima la costruzione del muro in Cisgiordania e non manca un falso storico sulla strage di Sabra e Shatila
Può il Museo della Resistenza promuovere una mostra contro Israele? Può essere lo strumento attraverso cui viene celebrata la memoria, non degli italiani che hanno combattuto i nazi-fascisti (quelli che perseguitavano gli ebrei), ma dei palestinesi contro lo stato d’Israele? “Il lungo viaggio della popolazione palestinese rifugiata” è il titolo dell’esposizione allestita nella sede di corso Valdocco, attraverso una serie di documenti e immagini messe a disposizione dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, la stessa che, secondo alcune fonti giornalistiche, avrebbe offerto ospitalità – nelle proprie scuole di Gaza – ad alcuni centri di stoccaggio dei missili di Hamas. Una visione faziosa della realtà storica del conflitto israelo-palestinese esposto nei pannelli della mostra, fino allo svarione sul terribile massacro di Shabra e Shatila del 1982 contro i rifugiati palestinesi che viene definito un massacro compiuto dalle forze armate israeliane, mentre come tutti sanno fu opera dei delle falangi cristiano maronite. Il solito riflesso condizionato di certa cultura che fatica a scrollarsi di dosso certi pregiudizi.
A sollevare la polemica contro il museo presieduto dall'ex parlamentare Pd Pietro Marcenaro e finanziato da Comune di Torino e Regione Piemonte, è Il Foglio di Giuliano Ferrara, che sottolinea come siano raffigurate, in un video a flusso continuo, le principali capitali mondiali con sullo sfondo il “muro” d’Israele in Cisgiordania. Nessun riferimento ai motivi che hanno spinto lo stato ebraico a costruire quel muro, agli attentati del kamikaze palestinesi; piuttosto si spiega che “il muro danneggia gli ecosistemi, interrompe la continuità territoriale e la coesione sociale, distrugge l’economia, separa tra loro le famiglie e la comunità”.
Non è tutto, come spiega Giulio Meotti sul Foglio, la mostra conterrebbe anche un errore storico non da poco.
Nella mostra si parla molto di Sabra e Shatila, l’orrenda strage del 20 settembre 1982, in Libano, in cui furono uccisi centinaia di palestinesi per mano dei falangisti maroniti. Nella didascalia della mostra di Torino si legge che “diverse centinaia di rifugiati palestinesi furono massacrati nei distretti di Sabra e Shatila dalle forze armate israeliane tra il 16 e il 18 settembre”. Dalle forze armate israeliane? Così quell’episodio che si staglia nella coscienza di Israele come l’ombra di Banquo (peccato di omissione sotto i riflettori di Tsahal) viene adesso ascritto dal Museo della Resistenza di Torino alla mano assassina dell’esercito con la Stella di Davide. Il sindaco, Piero Fassino, è al corrente di aver finanziato una simile e fatale menzogna? E perché la comunità ebraica di Torino, quella di Primo Levi, che figura fra gli enti finanziatori del Museo della Resistenza, tace e acconsente a questo scempio ideologico? La mostra si dipana come una sequela di fotografie di bambini palestinesi fra le macerie: “Bambini sulla strada verso la scuola di Gaza”, una delle tante immagini di rovine e infanzie perdute. Ci sono i “bambini che fanno il bagno all’aria aperta a Gaza”. Non mancano le fotografie di bulldozer israeliani che radono al suolo le case palestinesi. Case di terroristi e sempre su autorizzazione della Corte Suprema israeliana. Ma la mostra è più laconica e glissa su chi le abitava: “Demolizione di abitazioni”. Cancellato ogni nesso causa-effetto del conflitto israelo-palestinese. E per descrivere i profughi palestinesi del 1948, la parola usata al Museo della Resistenza è quella araba, tratta dalla mitologia nera antisraeliana: “Nakba”. La catastrofe.
A stretto giro arriva anche la reazione della Comunità ebraica torinese che attraverso il suo vicepresidente Emanuel Segre Amar definisce la mostra una “vergogna”, un “falso storico che nega la verità e alimenta l’antisemitismo”. E poi una stoccata alle istituzioni pubbliche: “E’ gravissimo che il Comune di Torino e la Regione abbiano sostenuto questa esposizione”. Sulle locandine anche i loghi della Presidenza della Repubblica e della Compagnia di San Paolo: “Mi chiedo se prima di sostenere certe iniziative qualcuno si interessi di che cosa si tratta” chiosa Segre Amar.